Stand by.
Come quando l'ora lampeggia sul videoregistratore.
Come lo screen saver sul computer.
Sempre lì. Sempre uguale.
Il mio polso non è mai stato così messo male.
Frizza. E i tagli sono evidenti.
Il sangue non provoca più alcun effetto di nausea, semplicemente
un lieve dolore
che penetra, spostando l'attenzione per qualche attimo.
Un sangue rosso fuoco, per sentire la vita che scorre dentro ai polsi.
Passo la lametta con rabbia e una fredda indifferenza.
Squallido tutto questo.
E mentre la mano è attenta al freddo della scrivania che si contrappone al sangue caldo, eccola.
La trovo.
Trovo l'unica immagine che in questo momento mi trasmette qualcosa.
Un quadro speciale per me.
Il quadro che si trova nell'unico posto in cui ultimamente ho voglia di andare.
E' nell'ingresso e non ci fai caso.
Quei colori hanno destato il mio interesse e accolto i miei pensieri.
Quell'immagine è complice dei miei dubbi più disarmanti, delle paure e della felicità di essere lì a guardarlo.
Mirò.
In quel quadro ci sono io.
Quadro in cui posso vedere esattamente quello che voglio vedere.
Può anche cambiare ogni volta, non ha importanza.
Tendo spesso a interiorizzare tutto.
In qualsiasi cosa cerco di trovare un appiglio di me, un tratto che mi piace o mi appartenga, al punto che azzardo interpretazioni estremamente personali.
Ma qui i colori parlano.
Parla il capello da clown e la palla rossa che fa da grande sole.
Parlano i colori vivaci del mondo che spesso osservo da lontano, come offuscati, ovvatati.
Eppure sono così belli. Cosi speciali.
Cosi evidenti.
Forti, passionali.
E' la parte che vuole giocare, uscire fuori, rapportarsi, comunicare.
E' la parte che non ha bisogno di affermarsi perché basta a sé stessa.
E' la voglia di ridere, giocare.
La voglia di star bene.
Poi ci sono gli occhi.
E il capello è stranamente diviso, tagliato a metà.
Una parte vola come fosse una sorta di aquilone, ma sembra anche una grande toppa.
Un cerotto alle ferite che hanno visto e provato
quegli occhi tristi.
Quegli occhi che sfuggono la realtà e si nascondono in false apparenze
per non apparire nella loro
estrema
sensibilità.
Occhi che si vergognano.
Occhi che non si accettano.
Occhi bassi, svogliati.
Uno sfondo omogeneo, ma non troppo piatto, un'ombra scura al lato.
L'ombra che si allarga e copre le ali.
Si, perché poi ho scoperto che il quadro si chiama
“il sorriso delle ali”
L'ho trovato fantastico!
Le ali.
Quelle che vorrei.
Quelle che ho cercato vanamente,
disperatamente,
nel modo sbagliato.
Le ali che forse invece avevo già.
Erano le ali per sorridere.
Adesso che non sorrido più di gusto,
trovo quei colori affascinanti e non mi stanco di guardare
quell'immagine che, in qualche modo, parla
del mio passato,
presente,
e futuro.
Parla di speranza.
Ci sono dolore, vergogna, amarezza.
Colori grigi.
Ma ci sono anche evidenza, rosso sangue.
Ci sono passione, vita, sole.
Il sorriso, il gioco.
Le cose perse.
I dubbi, le paure.
Mi sono chiesta perché quel quadro fosse lì, proprio a collegare le cose.
Mi infonde un misto di positivo e negativo.
Antitesi.
Calma e cenere.
Dinamismo, quindi forza.
E poi.. “le ali del sorriso”, titolo che parla da solo.
D'un tratto mi viene voglia di non pensare più a niente.
Di uccidere l'ossessione.
Illuminare l'ombra.
Colorare le cose.
Facile a dirsi, mentre il circuito si ripete,
perpetuandosi.
Dove voglio arrivare?
Su un' altalena isolata,
in una parco desolato
dove i colori sono ambrati e crudeli.
Dove giochi da sola
al tuo gioco perverso
che non puoi più abbandonare.
Dormire. Dormire per non vivere.
Per non pensare.
Per non affrontare le cose.
Immobile, sotto terra.
Ma riprovo lo stesso.
Anche domani.
Anche adesso.
Metropoli di pensieri.
Scale a chiocciola.
Vita gettata via in tagli
troppo evidenti.
Insegne illuminate, confusione nel buio.
Nebbia, mare calmo.
Io sono lì, in mezzo alla foschia serale.
Nella confusione del vapore acqueo.
Nel tumulto delle molecole agitate.
Nel freddo del pavimento.
Binari del tram
dove cammini in equilibro, spericolata
sfoggiando una sicurezza che sa di apparenza.
Sono negli spazi larghi, illimitati.
Sono nei contatti a distanza.
Strade che si ramificano,
pensieri amalgamati.
Intricati.
Complicati anche solo ad essere pensati.
Foglio bianco riempito di parole inutili.
Per rendere esplicito
il filo spinato che avvolge la mente.
Corpo dolorante, mente demotivata,
lei che voleva arrivare lontano.
Adesso la strada è senza uscita:
piuttosto che tornare indietro e cambiare le cose
c'è un'immoblità che pregna l'aria,
il vetriolo sconvolge il cuore.
E' un velenoso tentativo disperato.
Mentre alza il volume della musica
per non sentire quello dei
pensieri.